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martedì 23 aprile 2013

I COSACCHI.

                                                          (Taras Bul'ba, M.G.Deregus)


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Era , Olènin, un giovane che in nessuna scuola aveva terminato i corsi,in nessuno ufficio era stato impiegato (non aveva fatto che iscriversi in non so quale amministrazione giudiziaria); un giovane che aveva scialacquato la metà delle sue sostanze, e giunto all'età di ventiquattro anni, non s'era ancora scelto una carriera e non aveva concluso nulla di nulla. Era quello che si usa chiamare "un giovanotto", nel bel mondo moscovita. A diciott'anni, Olènin era stato così libero,come solevano essere liberi soltanto i giovani russi del quarto decennio dell'Ottocento, quando fin da ragazzi fossero rimasti senza genitori. Per lui non esisteva- né sotto l'aspetto fisico né sotto quello morale- nessun genere di vincoli: tutto poteva fare, e di nulla aveva bisogno, e nulla lo teneva legato.Egli non conosceva né famiglia, né patria, né fede, né angustie finanziarie. Non c'era nulla a cui credesse, e nulla a cui si assoggettasse. Ma, mentre era così alieno dall'assoggettarsi a nulla, non solo egli non era un giovane cupo, malinconico e ragionatore, ma, al contrario, si lasciava prendere da continui trasporti. Era giunto alla conclusione che l'amore non esiste, ma intanto la presenza d'una giovane, graziosa donna lo faceva ogni volta restare col cuore sospeso. Da un pezzo sapeva che onori e titoli sono tutte assurdità, ma involontariamente provava piacere quando in un ballo gli veniva accostato il principe Sèrghij e gli rivolgeva affabili parole. Senonchè, a tutti codesti suoi trasporti egli s'abbandonava solo fino al punto che non costituissero per lui un legame. Non appena, abbandonatosi a una certa china, incominciava a subodorare l'avvicinarsi della fatica e della lotta-della minuta lotta con la vita- egli d'istinto, s'affrettava a strapparsi a quel sentimento o a quell'impresa, e a ristabilire la sua libertà. In tal modo aveva provato la vita mondana, il lavoro d'ufficio, l'amministrazione dei possedimenti, la musica (alla quale,in un dato periodo,aveva pensato di consacrarsi tutto), e perfino l'amore per le donne, a cui non credeva.Era, il suo, un perpetuo titubare circa l'oggetto su cui concentrare tutta quella forza della giovinezza, che solo una volta nella vita è a disposizione dell'uomo: sull'arte,sulla scienza, o sull'amore per la donna, o sulla attività pratica.
Non si trattava già della forza dell'intelligenza, del cuore, della cultura, ma di quell'irripetibile slancio, di quel potere (dato all'uomo una volta sola) di fare di sè ciò che vuole e come più gli aggrada, e ugualmente, di far ciò che vuole del mondo intero. E' vero, sì, che ci sono alcuni privi di questo slancio, i quali, al primo entrar nella vita, s'infilano addosso il primo giogo che capita e onestamente ci lavorano sotto fino al termine della vita.
Ma Olénin con troppa forza sentiva in lui la presenza della giovinezza,questa capacità di convertirsi tutto a un solo desiderio, a una sola idea, questa capacità di volere e di agire, di gettarsi a capofitto nell'abisso senza fondo, senza saperne il motivo, senza saperne lo scopo.
[...]


                                                                                                                TOLSTOJ.

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